giovedì 12 giugno 2014

Piccola Fattoria di Chia



Lavorare in Giappone

Per un anno Luca ha lavorato in Giappone, dove ha vissuto dentro una comunità sud-americana.
Il visto da turista dura tre mesi e si può rinnovare presso la propria ambasciata, semplicemente facendone richiesta, per altri tre mesi.
Questo tipo di vista non ti permetterebbe di essere assunto, però grazie alle sue conoscenze e alla comunità ha potuto trovare lavoro per mantenersi.

Generalmente nelle fabbriche ti consegnano dei compiti via via più complessi fino ad arrivare al limite delle tue capacità per trovare il ruolo più adatto alle tue competenze.

Il lavoro di fabbrica è di velocità e precisione, ma estremamente noioso per la sua ripetitività.
I licenziamenti, che vengono dati senza preavviso, sono accompagnati da un assegno di disoccupazione dati sotto forma di buoni, per la durata di un anno complessivo.

Per andare al lavoro c’era un pulmino che si caricava tutti i dipendenti, quasi tutti clandestini, che percorreva le strade trafficate per un’ora e passa di viaggio.

Una volta Luca si è portato dietro delle Lasagne al ragù per l’ora dei pasti. La sua cucina ha attirato subito l’attenzione dei suoi colleghi che gli hanno iniziato ad ordinare i pranzi, chiedendo di pagarglieli 3 euro l’uno.

Sia la cucina, che il gusto per il caffè italiano sono ancora molto vivi in Giappone.
Luca
racconta come nel baracchino allestito con una macchina per il caffè espresso c’era sempre una lunga fila.
Anche all’italiano in sé viene dato un ruolo più alto rispetto ai sud-americani, ogni volta che si dichiarava Italiano, i Giapponesi cambiavano subito atteggiamento nei suoi confronti.

Nonostante questo rispetto per la cultura del bel paese, a livello lavorativo hanno capito che lo spirito italiano porta sì con sé cultura e arte, ma anche una grande, grande dose di furbizia.

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