sabato 25 aprile 2015

Solidor: Stesso posto, stessa storia



Stesso posto, stessa storia


C’è un grosso movimento ora che porta la gente ad affezionarsi all’idea di vivere in campagna.
Questo perché la gente è sempre più stufa della città.

Si è stufi di guidare per troppo tempo in mezzo al traffico, subire lo stress di un orario da ufficio, stufi di sentire i colleghi che hanno sempre qualcosa da ridire.

Si è stufi di alzarsi la mattina, di aprire la finestra e sentire le urla della vicina, di accontentarsi di un fiore sul balcone per sentirci vicini alla Natura.

Si è stufi di non conoscere sé stessi e allo stesso tempo si è stufi di distrarsi di continuo per non conoscere sé stessi.
Così a molti nasce un sentimento verso il cambiamento.
Voler veramente cominciare una vita nuova, trasferirsi da un’altra parte, trovare un altro lavoro, provare una compagnia diversa, iscriversi a qualche corso yoga.

Qualsiasi cosa, purchè si riesca ad uscire da una sensazione di chiusura che ci fa sentire scollegati.
Qualcosa che “riempia il vuoto” e che dia un senso alle azioni.

Quindi si sceglie la campagna per la città, il cibo genuino invece dei fast-food, la bicicletta al posto della macchina…molti cambiamenti positivi, che mirano al miglioramento, ma che non soddisfano appieno.

Così...
Dopo qualche mese di questa nuova vita si ripropone la stessa sensazione di disagio e voglia di cambiare.
La soluzione è nuovamente: trasferirsi da qualche altra parte o aggiungere qualche dettaglio che riporti un po’ di pepe nella monotonia. Di nuovo subentra la noia o il non-senso.

Come mai?

Il semplice motivo alla base di tutto ciò è:
“non essere totalmente presenti nel momento della scelta”.
Dove presenti vuol dire conoscere profondamente i motivi che hanno stimolato il cambiamento.

Non solo quelli pratici o direttamente visibili, ma quelli che si celano dietro i bisogni non soddisfatti (affetto, rispetto, fiducia di sè...).

I cambiamenti esteriori sono estremamente importanti allo stesso modo quelli interiori.

Prendete l’occasione del cambio vita “portando dietro” anche voi stessi, tra lo scatolame incartato o lo zaino in spalla.

Alcune realtà visitate riproponevano infatti gli stessi schemi di stress e affaticamento che ho riscontrato nella città.
Cambia l’esterno, ma la storia è la stessa, fino a che non si vedranno le due parti, esteriorità ed interiorità, collegate, che si aiutano vicendevolmente.

giovedì 23 aprile 2015

Solidor: Torta con quello che t'avanza!

Torta con quello che t'avanza!


In questi giorni ho sperimentato un po' di culinaria.
Avanzava un po' di succo di ananas e mi è venuto in mente di sfornare qualche torta vegana.
Ecco la ricetta! 
Ho preso ispirazione da questo sito.

Torta all'Ananas


Ingredienti:
- gr. 150 di farina 00
- gr. 150 di farina integrale
- gr. 150 di zucchero di canna
- gr. 20 di cacao amaro
-1 bustina di lievito
- gr. 350 di succo d'ananas
- gr. 50 di olio d'oliva
- un pizzico di sale e di peperoncino
- a piacere: pistacchi sbriciolati, gocce di cioccolato per decorare, e mandorle.

Preparazione:

Mescolate in una ciotola gli ingredienti liquidi e in un'altra quelli solidi, tranne il lievito.
Aggiungete i liquidi nei solidi e mescolate vigorosamente con una frusta a mano cercando di non fare grumi.
Aggiungete il lievito e mescolate per bene.

Ora potete aggiungere a piacere mandorle o pistacchi triturati.

Versate l'impasto nello stampo unto ed infarinato, distribuite qualche mandorla sulla superficie ed infornate in forno già caldo a 180° per circa 40 minuti.
Per sapere se è cotta fate la prova stecchino: la torta deve essere asciutta.
Fate raffreddare completamente prima di togliere dallo stampo e servite.

Difficile aspettare che si raffreddi, lo ammetto, ma la torta riposata assume un sapore estremamente migliore!

lunedì 20 aprile 2015

Solidor: Preparare il letto da semina



Preparare il letto da semina


In questi giorni sto collaborando alla fase di preparazione dell’orto per la semina e il trapianto.

Quasi tutta il campo è stato “spogliato” dalle culture precedenti. Sono rimaste solo le biete che probabilmente continueranno a ricacciare fino a fine primavera.

La prima fase è di pulizia.
Si tolgono la gran parte delle piante spontanee con zappa e rastrello, tra tutte la stellaria e la gramigna, qualche cardo mariano, cicoria spontanea eccetera.

La seconda fase è la vangatura.
Con la vanga-forca si passa tutto l’orto, affondando la vanga nella terra e rivoltando i primi quindici centimetri di suolo.

Nella terza fase si passa la motozappa che tritura il grosso riducendo a grana più fine le zolle di terra.

La terza fase è la rifinitura.
Si zappetta lungo tutto il percorso del tubo principale in maniera che l’entrata dei gocciolatoi non sia sommersa dalla terra.

A questo punto il terreno è pronto per la fase del trapianto o della semina.
Quindi…


Preparazione delle aiuole
Per ogni aiuola si tende un filo come riferimento per creare un solco diritto, vicino al rubinetto principale del gocciolatoio.
Per ogni aiuola ci staranno 3 o 4 file, a seconda della cultura da mettere, distanti 30 centimetri l’una dall’altra.

Si passa il sarchiatore per tracciare il solco, in linea con il filo di riferimento.
A questo punto si può scavare più profondamente con la zappa.

Una volta creato il solco si sparge del letame compostato e si ricopre con terra.
Si passa il rastrello per uniformare la superficie.

Trapianto
Una volta pronto il terreno si innaffia il platò di piantine da trapiantare.
Con una paletta chiamata trapiantatrice si crea un buco dove posizionare la pianta. A seconda del tipo di coltura si posizioneranno le piantine a distanza differente (per le insalate bastano 20 centimetri l’una dall’altra).

A fine trapianto si attacca l’ala gocciolante controllando che non abbia punti di perdita.

Alla mattina presto o in tardo pomeriggio si innaffiano le file trapiantate.


sabato 18 aprile 2015

Solidor: Stabilità VS Mobilità



Stabilità VS Mobilità


Tempo fa si è parlato a tavola di progettualità.
Lorenzo e Luciana hanno incontrato molti wwoofer nel corso degli anni. Ognuno di loro ha condiviso il proprio cammino.

Alcuni avevano il progetto di viaggiare, altri di costruire una realtà propria, altri di fare un’esperienza e poi vedere cosa portava, altri erano curiosi di indagare alcune tematiche dell’agricoltura e della vita, nelle relazioni, nel contatto con la natura..

Indipendentemente dal motivo che li spingeva a viaggiare, Luciana poneva la questione della responsabilità verso sé stessi e verso gli altri nel progettare il proprio futuro.

Il messaggio era più o meno questo:
In questi anni non ci pensate, ma verrà il momento in cui non sarete del tutto autonomi e per poter vivere in un’ambiente sicuro, adatto alle vostre forze, è bene che ognuno pensi a costruire una realtà (non per forza una proprietà privata) in maniera da non pesare sugli altri.

Qui si aprono molti discorsi: progettazione del futuro, vivere il presente, la creatività umana (costruire una realtà), la questione della sicurezza eccetera.

Ho incontrato molti ragazzi “viaggianti” che non avevano un’idea precisa di cosa avrebbero voluto fare nel futuro.
Erano come catturati dal viaggio come percorso, perché quello, più di altri, gli permetteva di confrontarsi con sé stessi in maniera diretta, quotidianamente.



Vivere il presente
E’ importante quindi potersi immergere in ciò che sappiamo essere il cammino adatto a noi, e allo stesso tempo aprire tutti i sensi “superiori” all’indagine di sé stessi, al comprendere quale futuro stiamo creando per noi stessi, a quale parte del nostro passato siamo ancorati.

Questo può indicarci cosa voglia dire vivere il presente: avere in noi al contempo la chiarezza del futuro e del passato. 



Costruirsi una sicurezza
Cosa vuol dire costruire una sicurezza?
Non parlo della sicurezza materiale. La casa di proprietà è stato un obiettivo che la generazione precedente ha fortemente perseguito.

Parlo della sicurezza spirituale.
Quel tipo di sicurezza, fiducia, nella propria interiorità, nel percorso personale che permette di non inciampare al primo ostacolo, al primo confronto con sé stessi.

La sicurezza o fermezza ti permette di affrontare la parte “oscura” di te stesso quando viene suscitata e resa così manifesta, senza cadere vittima della colpevolizzazione.

La sicurezza interiore ti permette di proseguire lungo il cammino superando le fasi che ti orienterebbero da un’altra parte (perché ti reputi poco degno, inadatto, senza forze o senza coraggio eccetera).

E’ importante quindi costruirsi una casa laddove le tue forze non bastino a sostenerti, una casa interiore a cui far riferimento, come dice Marco Aurelio, un centro a cui rivolgerti ogni volta che puoi.