L'empatia
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La nostra attuale
comunicazione è alienata da giudizi moralistici o di paragone,
dove le persone e i comportamenti nostri e degli altri vengono messi
alla gogna perchè non rispettano i nostri giudizi di valore
(ovvero le nostre convinzioni riguardo ai modi in cui si può
servire meglio la vita).
Esempio
giudicante: “Sei una persona
disordinata\distratta\irosa\fredda\incapace ecc.”
Esempio di
espressione dei nostri bisogni: “Quando la mattina lasci i
tuoi panni sparsi per il pavimento (osservazione) mi sento
scoraggiata (sentimento) perchè avrei bisogno che i miei
sforzi per tenere in ordine la casa siano condivisi (bisogno).
Potresti porli nell'armadio prima di uscire? (azione\richiesta)”
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Quando noi o
l'altro viene giudicato in“torto” non è a causa di una
sua
azione o pensiero (l'essere disordinato per esempio).
In
realtà è perchè non si comporta, o siamo noi che non ci
comportiamo, in
armonia con i nostri bisogni (valore del
rispetto, ordine, collaborazione e condivisione).
Se agiamo, spinti
da un giudizio verso noi stessi, rivolgiamoci verso i nostri
bisogni, cercando di capire quali siano quelli insoddisfatti
prima di riversare sull'altro la responsabilità della nostra
reazione.
Valutando in
questo modo i nostri comportamenti come bisogni non
soddisfatti, lo stimolo al cambiamento non verrà dal senso di
colpa o vergogna, rabbia o depressione, ma dal nostro genuino
desiderio di contribuire al benessere nostro e altrui.
Esempio:
“Quando è così disordinato mi fa arrabbiare!”
Esempio
di responsabilità: “Mi sento frustrata quando vedo i
panni sparsi per la stanza perchè avrei bisogno di avere una
maggiore connessione e collaborazione (o riconoscimento dei miei
sforzi) nel tenere uno spazio ordinato e pulito in casa”
L'essenza della
rabbia è pure
un bisogno non soddisfatto, e
allo stesso modo, la
depressione è uno
stato di
alienazione dei nostri bisogni personali, dove il singolo pone
molti giudizi verso se stesso.
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Capire quindi
quali sono i
bisogni non soddisfatti (che si celano dietro i
nostri
sentimenti più forti) diviene
un'atto conoscitivo
che sfocia in una reazione positiva verso la
comprensione
su noi stessi e gli altri.
Esempio:
“Mi sento così inutile, sembra che nessuno mi dia retta!”
Esempio di atto conoscitivo:
“Quando intervengo in una conversazione mi sento
intimorita perchè non riesco
ad esprimermi come vorrei. Avrei bisogno di
una maggiore connessione e fiducia verso me stessa così da creare un
maggiore contatto con gli altri.”
Come quindi
riconoscere gli ostacoli che nascono in un dialogo quando
ricerchiamo
l'empatia?
Quando carichiamo
troppo uno di questi aspetti:
-dare consigli
(“Potresti provare\dire...”),
-cercare di commiserare\tirare su di
morale (“Oh poverino...”)
-educare l'altro (“Secondo
me dovresti...”)
-consolare (“Su
coraggio...”)
-raccontare
storie (“come è successo a me quella volta..”)
-zittire (“dai
su, non starci male”)
-interrogare
(“quando è iniziato tutto questo?)
-dare spiegazioni (“Secondo
il mio parere lui\lei agisce così perchè...)
-correggere (“Non
è così, certamente hai capito male.”
diamo
più attenzione all'indagine o a guidare la conversazione piuttosto
che concentrarci su ciò che l'altro vuole esprimere\ i
suoi bisogni.
Prima quindi di domandare o
interrogare l'altro, se per
primi vogliamo iniziare la conversazione per una panoramica della sua
situazione, possiamo mettere l'interlocutore a suo agio esprimendo
i nostri sentimenti e bisogni (quelli
che generano la domanda),
Invece di chiedere:
“Che cosa vuoi
che faccia per te?” o “Come ti senti?”
Possiamo cambiare la domanda in:
“Sono
frustrato (sentimento) perchè vorrei che mi fosse più chiaro a
cosa ti stai riferendo (bisogno). Saresti disponibile a dirmi che
cosa ho fatto che ti porta a vedermi in questo modo (richiesta)?”
Per concludere,
possiamo considerare che prima fra tutti, nel dialogo, si pone
l'osservazione.
Un'osservazione
attenta a non cogliere i lati superficiali, i primi sentimenti
espressi, ma che vuole andare in profondità, nella paziente
attesa di arrivare all'origine dei bisogni inespressi.
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