Lavorare in Giappone
Per un anno Luca ha lavorato in Giappone, dove ha vissuto dentro una comunità
sud-americana.
Il visto da turista dura tre mesi e si può
rinnovare presso la propria ambasciata, semplicemente facendone richiesta, per
altri tre mesi.
Questo tipo
di vista non ti permetterebbe di essere
assunto, però grazie alle sue conoscenze e alla comunità ha potuto trovare lavoro per mantenersi.
Generalmente
nelle fabbriche ti consegnano dei
compiti via via più complessi fino ad arrivare al limite delle tue capacità per trovare il ruolo più adatto alle tue
competenze.
Il lavoro di fabbrica è di velocità e precisione, ma estremamente noioso per la sua
ripetitività.
I licenziamenti, che vengono dati senza
preavviso, sono accompagnati da un assegno
di disoccupazione dati sotto forma di buoni, per la durata di un anno complessivo.
Per andare
al lavoro c’era un pulmino che si
caricava tutti i dipendenti, quasi
tutti clandestini, che percorreva le strade trafficate per un’ora e passa di
viaggio.
Sia la cucina, che il gusto per il caffè italiano sono ancora molto vivi in Giappone.
Luca racconta come nel baracchino allestito con una macchina per il caffè espresso c’era sempre una lunga fila.
Luca racconta come nel baracchino allestito con una macchina per il caffè espresso c’era sempre una lunga fila.
Anche
all’italiano in sé viene dato un ruolo
più alto rispetto ai sud-americani, ogni volta che si dichiarava Italiano,
i Giapponesi cambiavano subito atteggiamento nei suoi confronti.
Nonostante questo rispetto per la cultura
del bel paese, a livello lavorativo hanno capito che lo spirito italiano porta
sì con sé cultura e arte, ma anche una grande, grande dose di furbizia.
Nessun commento:
Posta un commento